Bali non ha bisogno di troppe presentazioni. Come direbbero i più… la sua fama la precede.​​​​​​​
Questa zona dell’Indonesia si presta ai più svariati itinerari.
Noi abbiamo optato per 16 giorni effettivi, partendo da Canggu per passare a Nord, fermandoci poi a Ubud e deviare verso Sud per fare rotta verso Nusa Penida. Abbiamo poi aggiunto un trekking di tre giorni sul Rinjani (a Lombok) e un giorno di relax a Gili Air, per poi fare ritorno nel Sud di Bali, nella penisola di Bukit.
Guardandomi indietro credo che l’itinerario sia stato soddisfacente, anche se non sceglierei più Candidasa come base per l’Est dell’isola e (forse) aggiungerei più giorni per esplorare il Nord e l'Ovest dell’isola.
Un consiglio che mi sento di dare – a prescindere dai cento altri che si trovano ovunque – è quello di non separarvi mai dal repellente per zanzare e insetti. Portatevelo sempre con voi. Noi abbiamo usato questo e ne siamo usciti indenni.
Poi, se doveste passare dalla Libreria del Viaggiatore per qualche dritta prima di partire, fareste solo bene!

Come già accaduto per il capitolo azzorriano, vi lascio ora alla lettura delle nostre (dis)avventure in questo luogo magico.
L’impatto con Bali è notevole. Dopo quattro abbondanti, lunghe ed impegnative ore con Air Asia*, uscire dall’aeroporto di Denpasar è un qualcosa capace di segnarti. L’escursione termica a cui sei sottoposto è in grado di generare brina tra lobo frontale e temporale del tuo cervello. Il tuo corpo è stato sottoposto ad una gara endurance di seduta ad una temperatura media di dieci gradi centigradi, ed ora gli è richiesto di essere il più rapido a firmare un visto, cambiare della valuta e comprare una nuova sim telefonica con una temperatura percepita di quaranta / quarantuno gradi. Giunti al pick-up point di Grab poco fuori dall’aeroporto, mi viene riconosciuta una meritata onorificenza: il più grande produttore di sudore del sud-est asiatico.
Quando poi inserisci su Google Maps l’indirizzo della guesthouse di Canggu, pensi che ciò che la tua vista sta trasmettendo al centro di controllo è ancora inficiato dalla brina presente nel lobo temporale… e invece no! Poco più di dieci chilometri in circa due ore e mezza. Il traffico è selvaggio. Totalmente fuori controllo. I motorini passano ovunque: a destra, a sinistra e perfino sui marciapiedi. Quello che ci chiediamo è come sia possibile che non ci siano piloti indonesiani in MotoGP. Quello che, invece, speriamo è che questo biglietto da visita non sia ciò con cui dovremo avere a che fare nelle prossime due settimane.
(E fortunatamente non sarà così!)
*il volo è stato quello da Bangkok a Denpasar. Gestito da Indonesia Air Asia, è costato 155,30 €/persona. Puntualità ottima. Peccato per la scomodità generale (sedute decisamente strette e temperatura incredibilmente bassa).​​​​​​​
A Bangkok siamo arrivati con Etihad, con i voli Malpensa – Abu Dhabi e Abu Dhabi – Bangkok, costati in totale 421,28 €/persona. Ottimi entrambi.
Il ritorno lo abbiamo organizzato con le stesse compagnie, facendo però scalo un paio di giorni a Singapore. Denpasar - Singapore è costato 87,62 €/persona, mentre i voli Singapore - Abu Dhabi e Abu Dhabi - Malpensa sono costati 437,55 €/persona.
CANGGU
La prima sveglia di Bali cancella tutte le tossine accumulate la giornata precedente. Il traffico sregolato, il gelo di Air Asia e il caos di Denpasar e Kuta vengono spinti nel retro della nostra mente da una coloratissima colazione servita a bordo piscina.
Il rumore dell’Oceano Indiano che si rompe sulla costa ci guida verso la spiaggia di Canggu, ma il caos che regna tra le vie che portano lì ci spinge verso altri lidi. Quello che cerchiamo in questo viaggio – per quanto possibile – non è la Bali dei social, fatta di locali occidentali, negozietti, spot preparati per essere instagrammati e tutto ciò che potresti trovare da qualsiasi altra parte nel mondo. Ciò che inseguiamo è il quieto vivere che la vera Bali sembra voler nascondere e tenere per sè.
Lasciata la spiaggia di Canggu alle nostre spalle, ci incamminiamo a piedi nudi sulla sabbia verso Perenan Beach prima e Seseh Beach poi. Il caos ormai è lontano, e su queste immense spiagge non siamo altro che noi due. Un tempio di pietra nera si staglia sulla spiaggia e sullo sfondo un’infinità di palme subiscono la forza del vento che soffia imperterrito da Sud. Questa è una delle immagini che la nostra mente si aspettava di vedere. Siamo felici. E siamo pronti per lasciare questa zona e dirigerci nel nord dell’isola; anche perché, a furia di camminare abbiamo probabilmente raggiunto i confini meridionali di Sumatra.
Ci sono mille modi per compiere questi spostamenti, ma considerando bagagli, traffico e clima, un metodo davvero niente male è il driver privato. Leggendo qua e là qualche guida e qualche blog, siamo incappati su questa pagina. È sufficiente scegliere il tipo di veicolo che si vuole e per circa 40 € un driver vi accompagnerà a destinazione.
Il nostro è puntualissimo. Ci aspetta fuori dalla nostra guesthouse* e ci guida verso Bedugul. Le tappe intermedie saranno Tanah Lot e le risaie di Jatiluwih.
Nel passaggio a Nord, Tanah Lot – a parer nostro – è più una tappa obbligata per sentirsi per alcuni minuti in Ticket to Paradise, Mangia Prega Ama o in un qualche altro film hollywoodiano. Fortunatamente, la dea bendata ci assiste e con la bassa marea riusciamo ad ammirare in tutta la sua particolarità questo solitario e pacifico isolotto, che scalfito dalle onde dell’Oceano Indiano, ospita un tempio induista. La bassa marea ci aiuta, oltre che a contemplare questo particolare panorama, ad apprezzare lo sparpagliarsi dell’ingente folla che lì arriva da tutta l’isola e che ha fatto sì che, intorno al tempio, si sia sviluppato un numero incredibile di negozietti e bancarelle, che di austero e solenne hanno ben poco.
Jatiluwih, al contrario, giustifica coi suoi colori, la sua gente ed i suoi terrazzamenti il perché è un patrimonio UNESCO. Dopo quasi due ore d’auto, impieghiamo poco più di venti secondi per decidere quale percorso affrontare per sbrinarci dall'abuso di aria condizionata del nostro driver e ammirare a pieno le risaie: inforchiamo la traccia blu (la più lunga a piedi) e via.
Quello che ci si palesa davanti agli occhi è davvero uno spettacolo! Scatto talmente tante foto che solo l’idea di riguardarle la sera mi fa venire gli incubi. In testa ho la foto di una lavoratrice indonesiana chinata a raccogliere il riso. Immagino il suo chiaro cappello di bambù emergere dal vivido verde del campo di riso. La mia dolce metà mi comunica con tono perentorio che se non dovessimo incontrare questa scena, prenderà lei un cappello e raccoglierà personalmente il riso… rendendomi chiaro che questa foto non ce l’avevo soltanto in testa.
Finito il trekking e rientrati in auto, terminiamo il passaggio a Nord con l’arrivo a Baturiti**, nei pressi del lago Beratan, in tempo per il più classico dei Nasi Goreng indonesiani ed una fresca Bintang.
*a Canggu abbiamo soggiornato una sola notte, alla Koming Guest House, spendendo 17,50 €/persona.
**a Baturiti, abbiamo soggiornato una sola notte presso Pondok Nyoman per 13,50 €/persona. Positivo che abbia una sorta di ristorante all’interno (in zona non c'è nulla) e che permetta di noleggiare scooter. Il resto (igiene e accoglienza) un po’ meno.
BEDUGUL
Come in una sorta di bilanciamento di karma, il primo vero contatto con la popolazione balinese arriva nel momento del bisogno. Lo scooter noleggiato per la giornata non ci da buone sensazioni sin dai primi metri, ma decidiamo di dare fiducia al proprietario di Pondok Nyoman, che ci suggerisce che sulle strade dissestate di Bali è meglio avere le gomme un po’ più morbide. Quella, però, non è che è morbida… è proprio sgonfia, e in un curvone a destra lo pneumatico esce dal cerchio, indirizzandoci contro il guardrail. Il mio piede, fortunatamente, ci salva dall’impatto e dall'inevitabile incontro con la sanità indonesiana. Mi dirigo – così – alla prima casa che trovo sulla strada per chiedere informazioni per un meccanico o quantomeno qualcuno che possa aiutarci. Il padrone di casa non si limita a indicarmi la direzione, ma si offre di accompagnarci di persona e – anzi – di portare lui lo scooter. Ok che il meccanico si trova a 200m scarsi più in giù, ma il gesto ci fa riflettere sulla sincera bontà d’animo di queste persone.

Sistemata la moto per quattro miseri euro, ri-sgommiamo in direzione Git Git e Sekumpul: la patria delle associazioni a delinquere.
Sulla strada si trova qualsiasi cosa: cartelloni indicanti finti parcheggi, guardine con finte associazioni di trekking e pure finti ingressi. Noi mettiamo nel navigatore il punto esatto d’arrivo e non ci fermiamo mai e per nessun motivo, nemmeno se ci urlano, fischiano o rincorrono (cosa che ovviamente siete liberi di fare se vi va di spendere più del triplo del prezzo normale).
Le Git Git, a parer nostro, non valgono il prezzo del biglietto – per quanto misero. Belle sì, ma al mondo ce ne sono innumerevoli più affascinanti.
Sekumpul, invece, è un altro mondo; a cominciare dal fatto che qua è impossibile fare a meno di pagare più del dovuto, perché le “guide” locali hanno sbarrato il sentiero e costringono chiunque ad una sorta di tour guidato per compiere il trekking. Il panorama, però, ripaga tutto. Il verde intenso della foresta, lo scroscio delle cascate e la freschezza dell’acqua in cui è possibile nuotare, non possono far altro che rimanerci ben impressi nella mente.
Sulla via da Baturiti a Sekumpul, si trova il Pura Ulun Danu Bratan. Il luogo è, senza dubbio, affascinante, ma decisamente al di sotto del suo potenziale se visitato in pieno giorno (come abbiamo fatto noi per motivi logistici). Col senno di poi, avrei pensato il passaggio all’alba. In questo caso, però, saremmo dovuti partire allo scoccare della mezzanotte con il nostro funambolico scooter... data la sua incontenibile potenza. Sulla via da Sekumpul a Bedugul, in piena salita, apro il gas e do fondo a tutta la potenza dello scooter. Alla nostra destra un gallo, indispettito dal rumore, impazzisce e cerca di volare. Ad una ventina di centimetri da terra realizza di non riuscirci, ma comunque completa il sorpasso.
Riconsegnato lo scooter (e fortunatamente non il gallo), ci facciamo accompagnare Ubud. Villa Sunshine* è spettacolare e non vediamo l’ora di godere di questa zona.
*a Villa Sunshine siamo rimasti per tre notti in un monolocale deluxe a bordo piscina, spendendo 38 €/persona per notte con colazione in camera inclusa.
UBUD
Nonostante il fatto che le orde di turisti fanno ormai parte della quotidianità di Ubud, questa zona è davvero il cuore pulsante dell’isola. Le costruzioni moderne ed occidentali di Canggu o del sud di Bali lasciano piano piano spazio ad un’Indonesia più vera, dal sapore più autentico e dall'odore di incenso.
La prima tappa del nostro itinerario, quasi a togliersi prima il dente ed il dolore, è la Monkey Forest. Non si tratta di uno zoo o di un giardino botanico, nonostante questo sia il primo pensiero vista la folla che lì si dirige, bensì di un luogo sacro per la religione induista. All’interno della foresta sono presenti tre templi, capaci di donare all’ambiente quel minimo di tranquillità che i macachi sicuramente tolgono.
All’ingresso viene richiesto di prestare molta attenzione ai cartelli. Il primo recita “Non guardare mai le scimmie negli occhi”. Ok, chiaro ed efficace. Il secondo invita a non dare loro da mangiare, ed effettivamente l’idea non ci era minimamente balenata nella mente. Il terzo, nonché il più importante, consiglia di non tenere oggetti di valore in vista. Il macaco è bastardo e tende a rubarli (anche perché gli hanno insegnato che se ne ruba uno, per riaverlo gli viene offerto del cibo). A questo punto prendo la GoPro e la chiudo nello zaino. Il telefono lo nascondo nella tasca con la zip e la mia Panasonic la tengo ben salda al collo. Non ho dimenticato nulla. E invece no. L’acqua è rimasta nella tasca esterna dello zaino. L’acqua: il bene più prezioso con trentacinque gradi e il 90% di umidità. L’unica cosa di cui non puoi davvero privarti. E invece io me ne privo perché un macaco ninja mi salta sullo zaino, mi sfila la bottiglietta, ne svita il tappo e se la beve prendendosi gioco di me.
Lascio la Monkey Forest ferito battuto in scaltrezza da una scimmia, e con un rancore verso questa specie ancora più spiccato di quando siamo entrati.
Per riacquistare serenità, le tappe successive sono la Campuhan Ridge Walk e la Sari Organic Walk. Entrambe (forse la seconda più della prima) offrono panorami sensazionali e permettono di godere della natura selvaggia che ancora vince sulle costruzioni e sull’uomo. Il verde della jungla e delle risaie da una parvenza di fresco che in realtà non c’è. La temperatura percepita è di poco inferiore ai sette mila gradi centigradi. Io non sudo, produco acqua. Il popolo balinese vedendomi, teme un’inondazione.
Come conclusione di giornata, il palazzo di Ubud ospita la spettacolare danza Legong, una delle tradizioni balinesi più antiche. È davvero suggestivo ammirare come suonano gli xilofoni, come muovono occhi, dita e corpo a ritmo di musica… ma, dopo un’ora e mezza con gli xilofoni nelle orecchie, c’è il rischio di fratturarsi le gonadi.
Ubud non si limita alla cittadina in sé ed ai templi e/o attrazioni che ospita, bensì è lo snodo ideale per tutta la zona centrale dell’isola di Bali.
Proprio per questo motivo, abbiamo deciso di fare base a Ubud per più giorni e – grazie al più comune degli scooter – gironzolare per tutta la zona circostante.
La prima destinazione fuori da Ubud è il Pura Besakih, il tempio madre della religione indù a Bali. Il più grande complesso di templi dell’isola. Soltanto l’arrivare alla meta è magico. Con il nostro motorino, girovaghiamo tra jungla, risaie, innumerevoli templi, scorci di vera vita balinese e soltanto dopo più di un’ora arriviamo ai piedi del monte Agung, all’ingresso del tempio.
Rifiutiamo l’aiuto di una delle numerose guide per evitarci il significato di   t-u-t-t-i   i 23 templi dell’area. Avvolti nei nostri sarong, ci perdiamo tra le varie stradine e scalinate. Siamo affascinati da ciò che ci circonda e – abbassata la guardia – ci facciamo trascinare all'interno di un tempio dal richiamo di un credente. Il santone, vestito di una lunga tunica bianca, ci invita a partecipare ad un rito indù. Inginocchiati per terra, prima invochiamo il sole, quindi l’armonia, poi la famiglia e per finire – chiaramente – l’avidità, perché la nostra spontanea donazione di cento mila rupie non è considerata sufficiente dal santone induista, che alla vista della banconota ha un mancamento. Mannaggia a lui!
Tirta Empul è la destinazione successiva, nonché il più grande esempio di come il turismo ha snaturato la sacralità di alcuni luoghi. Il tempio è suggestivo, ma la fila di turisti che sgomitano per compiere (ridendo e scherzando) il rito di purificazione dell’acqua ci fa scegliere di abbandonare il posto.
Le risaie di Tegallalang, invece, ci fanno rivalutare Tirta Empul. I verdi terrazzamenti di riso si affacciano direttamente su club esclusivi, piscine a sfioro e maxi-altalene prese d’assalto per la prossima foto su Instagram. La magia di Bali qui sparisce.
L’unica nota positiva della zona è Alas Harum Bali, che (con il biglietto base) ci permette di imparare qualcosa di più sul Luwak ed il caffè che in qualche modo questo strano animale produce.
*una buona idea per recuperare un po' di autenticità, una volta tornati in città, è cenare al Warung Gauri ad Ubud.
CANDIDASA
Lasciare Ubud per dirigerci a Est verso Candidasa* mi permette di comprendere due grandi insegnamenti. Il primo è che, inequivocabilmente, gli induisti hanno scoperto l’esistenza di un’anima durante le nottate antecedenti la stagione monsonica. Dormire è impossibile, perché sudi talmente tanto che quella sul letto non può essere soltanto l’effige del tuo corpo. È proprio sudando l’anima che - penso - hanno scoperto di averne una. Il secondo insegnamento, invece, è che gli indonesiani sono invincibili, quasi immortali. Come fai a passare dai cinquanta gradi percepiti all’aria aperta ai dieci/undici gradi dei posti chiusi (e condizionati) senza ammalarti?!
Questi pensieri ci accompagnano fino a Tenganan, un villaggio Bali Aga che ci permette di scoprire come vivono gli abitanti di Bali che rispettano le antiche ed autentiche tradizioni dell’isola. Girovaghiamo tra qualche casa e la jungla, ammirando la vita di tutti i giorni e finendo per contrattare una cartina dell’isola incisa a mano nel bambù. La scampiamo per trecento mila rupie. Ci sentiamo un po’ dei bastardi senza onore, ma 1) il mio nome l’ha scritto anche in italiano (e non solo in sanscrito come da richiesta) e 2) l’arte della contrattazione ormai ha preso il sopravvento.
Da Tenganan, in meno di un’ora, arriviamo a Tirta Gangga. Personalmente, credo sia una cafonata. Bello, ma giusto per qualche foto e nulla più.
Deviamo, così, verso il Pura Lempuyang, convinti che la cantonata della giornata l’abbiamo appena presa. E invece no. La vera cantonata è quella. Arrivati al parcheggio si inizia a pagare per la qualunque: il bus che ti porta al tempio (praticamente impossibile optare per l’alternativa del trekking data la temperatura), l’ingresso e il noleggio del sarong. L’unica cosa che è già compresa nel ticket è la foto. Sembra una carineria, ma in realtà non lo è perché – semplificando – il tempio non esiste. La vera e unica “attrazione” è la cosiddetta porta del paradiso, che però è inavvicinabile a meno di fare una chilometrica fila per essere fotografati. In quel momento è la fortuna a fare da padrona, e il karma ci restituisce il credito accorciando considerevolmente la coda davanti a noi.
L’ultima tappa di questa zona, prima di arrivare a Sanur, è Amed. La strada che lì ci porta è davvero straordinaria… fatta eccezione per alcuni balinesi che sgozzano un maiale sul margine della carreggiata. Ad ogni modo, camminare in spiaggia al tramonto è sensazionale. Il sole scende alle spalle del monte Agung, donando al cielo un colore incredibile, che contrasta perfettamente il nero della spiaggia.
Degna di nota è anche Virgin Beach, un piccolo paradiso a pochi passi da Candidasa.
*a Candidasa siamo rimasti una sole notte, per poi spostarci a Sanur. Abbiamo dormito al Biya Lumbia, spendendo 7,50 €/persona per notte. Non lo consigliamo assolutamente.
A Sanur, invece, abbiamo dormito una sola notte allo Sri Phala Resort & Villa, spendendo 16,50 €/persona. Questo non è niente male: molto pratico per prendere la speedboat per Nusa o altre destinazioni. Lasciano anche la breakfast box nel caso il check out sia molto presto.
NUSA PENIDA
La traversata Sanur – Nusa Penida* è qualcosa di memorabile, a cominciare dal mezzo su cui si sale. Il termine fastboat non indica un’imbarcazione studiata per andare veloce. Si riferisce semplicemente al fatto che ad una normale barca sono stati aggiunti motori finchè ce ne stavano. Inoltre, credo che in indonesiano "fast" sia anche sinonimo di acqua, perché ne imbarchiamo a non finire da ogni fessura. Ad ogni spruzzo, speriamo che nella tratta Nusa Penida – Lombok** ci vada decisamente meglio.
Nusa, quantomeno, ci accoglie con i suoi panorami mozzafiato. Sfrecciare lungo le sue coste in motorino è sensazionale, e la vista che ci si ritrova davanti a Diamond Beach non se ne va via dalla memoria tanto facilmente. Sembra di essere in un film. Le bianche scogliere di Nusa Penida si tuffano nell’acqua di un raro colore azzurro. L’unico neo di questo luogo è la calca che si dirige dal promontorio alla spiaggia, lungo la scalinata scavata nella roccia. La discesa è un susseguirsi costante di coppie che si fotografano vicendevolmente, fregandosene della coda che si genera dietro di loro. Il che rovina un po' la magia del posto.
Decidiamo, così, di deviare verso Broken Beach e Angel’s Bilabong. Entrambe molto belle ma non all’altezza di ciò che abbiamo appena visto.
Ciò che è veramente sensazionale è Kelingking Beach. La vista dalla scogliera è mozzafiato. Il promontorio ha le sembianze di un dinosauro che pare riemergere dai fondali dell'Oceano Indiano. Qualcosa di mai visto prima. Scendere non è proprio da tutti e questo fa sì che in spiaggia non ci sia il finimondo. Da lì apprezziamo uno degli scorci più belli che abbiamo mai visto e beviamo la Bintang più cara del Paese. Risaliamo giusto in tempo per il tramonto, con il sole che lentamente scende al di là dell'orizzonte; il tutto condito da un branco di mante che dall’Oceano si avvicina alla spiaggia. Col calare delle tenebre, anche le scimmie tornano ad invadere l'area... un chiaro segnale per salutare Nusa Penida ed i suoi meravigliosi paesaggi.
*questa tratta l’abbiamo fatta con Angel’s Billabong, prenotando sull’app 12Go e spendendo 6,50 €/persona.
**quest'altra, invece, l’abbiamo fatta con Maruti Express, prenotata direttamente dall’imbarco di Maruti nel porto di Nusa. Abbiamo speso circa 17,90 €/persona.
A Nusa Penida, invece, abbiamo dormito una sola notte a Linas Villa, spendendo 11 €/persona per una camera matrimoniale con balcone. Ci siamo trovati molto bene. Il posto è molto comodo per il porto e l'host è molto gentile e sempre a disposizione.
LOMBOK
Bangsal è il posto più brutto del mondo. Non abbiamo dubbi a riguardo. Non facciamo tempo a mettere piede sulla terraferma che qualche indonesiano ci prende le valigie ed inizia a scortarci in giro per il porto contro la nostra volontà. L’approccio ospitale e pacifico della Bali induista è, ormai, nient’altro che un vago ricordo. Qua vige la confusione e la voglia di darti quante più cantonate possibili. Ci è impossibile muoverci liberamente senza che qualcuno provi a trascinarci in qualche strana agenzia viaggi come ci è impossibile prendere in autonomia un taxi o mangiare senza essere disturbati.
Arrivare alla guesthouse di Senaru* è davvero una boccata d’aria.
A pochi passi da lì, si trova la Tiu Kelep Waterfall: un’oasi nel cuore della jungla di Lombok. In mezzo a quelle fresche acque cristalline ci siamo soltanto noi, e la pace che regna ci fa dimenticare il caos di Bangsal.
La salita sul Rinjani è un’esperienza incredibile**. Partiamo da Senaru in direzione Sembalun nel cassone di un pick-up sgangherato. Per un’ora abbondante attraversiamo villaggi dimenticati da Dio e strade che non hanno mai visto l’asfalto, o quantomeno un suo parente. Ci perdiamo nel paesaggio incredibile di Lombok e delle infinite foto che scatto non ne viene nemmeno una, ma sono momenti che sono certo resteranno impressi nelle nostre menti per una vita intera.
Prima di iniziare la salita, ci sottoponiamo al medical check, che altro non è che una farsa per spillare 25.000 rupie a turista. L'esimio dottore indonesiano (fortunatamente) non rileva la mia ipertensione e dà il proprio benestare anche alla mia dolce metà, annoverandola - però - nella sezione "formiche", dato che come massima registra 90.
La prima tranche del trekking è facile, ma caldissima. La seconda – oltre che essere calda – è verticale. In totale camminiamo nove chilometri in tre ore, con più di 1400 metri di dislivello, ma quello che ci sconvolge per davvero sono Ar, la nostra guida, e i porter, i suoi (e nostri) aiutanti. Camminano su questi ripidi pendii polverosi con delle infradito da buttare e portano carichi di quaranta chili (almeno) sulle spalle come se niente fosse.
Arrivati al primo campo base, a circa 2600 metri di altezza, la fatica fatta fino a quel momento sparisce in un istante. La vista del Segara Anak, il figlio del mare, ovvero il lago che occupa la caldera sotto di noi, è mozzafiato. Il rosso del tramonto illumina il panorama e ci scalda il cuore; la cena che ci prepara Ar ci rimpinza ed il cielo stellato e l’ombra del Rinjani ci riempiono gli occhi.
Ciò che ci riporta bruscamente alla realtà è la sveglia alle due del mattino per il summit attack. 1100 metri di dislivello per conquistare la cima del secondo vulcano più alto dell’Indonesia. La testa è bassa per macinare abbastanza passi per essere in vetta entro l’alba, ma ogni volta che la si alza, l’emozione cresce vedendo la fila di frontalini che, nel buio della notte stellata, rincorre la punta del Rinjani a 3720 metri. Il vento soffia forte e porta da Nord aria davvero fredda. Io sono il più grande sudatore in cordata, ma preferisco mettermi il piumino. In Indonesia. Ad Ottobre. Questo macchia la mia fedina ed il mio orgoglio, ma mi salva. Ciò che, invece, rischia di ucciderci sono le continue fermate della nostra guida, che pare accusare la fatica. Fermarsi continuamente a più di tre mila metri, sotto assurde raffiche di vento gelido è davvero rischioso e in questo estremo frangente è l'istinto di sopravvivenza di Birze (la mia dolce metà) a prevaricare su tutto. Risoluta, abbassa lo sguardo, supera la guida e mi invita a seguire il suo inarrestabile passo. Raggiungiamo la cima alle 5:55, qualche minuto prima della nostra guida. Siamo distrutti ma ci concediamo un momento per ammirare una delle albe più belle della nostra vita.
La discesa è abbastanza logorante, la cenere riempie le nostre scarpe ad ogni passo ma riusciamo a raggiungere il campo base in tempo per una meritata pausa. Ore 9:30 si riparte in direzione cratere e secondo campo base. In cinque ore ci spariamo 800 metri di dislivello positivo e 600 di dislivello negativo. Siamo sderenati ma felici. Da qui si riesce a godere di un panorama a 360 gradi, con il Rinjani che si staglia perentorio su tutto il cratere. Il cielo è nuvoloso, ma ci regala altri scorci davvero memorabili.
La notte, a causa delle continue raffiche di vento, passa lenta e insonne, lasciandoci addosso un torpore che ci accompagna per tutta la via di discesa nella jungla di Lombok fino al gate di Senaru, dove un taxi ci riaccompagna a Bangsal***.
*a Senaru, in previsione del trekking sul Rinjani (che ha il punto di ritrovo a poche decine di metri), abbiamo soggiornato presso la Rinjani Lighthouse. Abbiamo speso 13,50 €/persona per una notte. Il posto e le persone sono davvero un regalo.
**noi abbiamo deciso di prenotarla con Rinjani Dawn Adventures. Il trekking di tre giorni e due notti ci è costato 250 €/persona. Ne vale davvero la pena.
***a Bangsal abbiamo dormito da Arnel Bungalows, lungo lo stradone che conduce al porto. Un posto senza pretese ed economico. Abbiamo speso 5€/persona con la colazione inclusa.
La speedboat che collega Bangsal con Gili Air, invece, si prenota direttamente dalla casettina che si trova alla sinistra del molo. Il costo per la tratta è di circa 5 €/persona.
GILI AIR
Appena mettiamo i piedi sulla terra ferma, tutto cambia. Le persone tornano a sorridere, non ti accompagnano dove vogliono loro e – soprattutto – non ci sono auto o moto. Il mezzo di locomozione più rapido è il calesse. Il viaggio cambia immediatamente velocità e, dopo tre giorni di chilometri e dislivelli, torniamo ad apprezzare la tranquillità che Gili Air elargisce generosa.
La giornata passa in totale relax, tra snorkeling nelle acque cristalline dell'isola e qualche passeggiata lungo la sua costa.
Il tramonto è spaziale. Il sole è una palla di fuoco che sprofonda nell’acqua e noi siamo fortunatamente consapevoli del regalo a cui stiamo assistendo.
*a Gili Air abbiamo soggiornato al Sedijwa. Ottimo compromesso tra qualità e prezzo. Abbiamo speso 16,50 €/persona per una notte.
La tratta Gili Air - Sanur l’abbiamo fatta con Semaya One, prenotando sull’app 12Go e spendendo 26,00 €/persona.
ULUWATU
Nonostante ultimamente si tenda ad associare Bali a Uluwatu e alla penisola di Bukit (situata nella parte meridionale dell’isola), questa zona ha poco a che vedere con la vera natura balinese. I posti tradizionali ed autentici lasciano spazio ad ampi locali di derivazione occidentale, pronti ad accogliere quanti più turisti possibili. Il traffico è selvaggio e i tempi di percorrenza di brevi tratti stradali sono inconcepibili. D’altro canto, alcune spiagge conservano ancora il loro fascino tropicale.
Padang Padang è un paradiso. Una lunga e ripida scalinata parte dalla strada e conduce ad una vera e propria mecca del surf. Da un lato la zona dei pro-surfer, con onde alte e spettacolari; dall’altro, quella dei beginner – dove decidiamo di concederci una lezione con Febryan e Albert, due stilosissimi surfisti indonesiani che ci regalano una mattinata strepitosa.
Di spiagge affascinanti ce ne sono davvero molte. Melasti, Seluban, Balangan, Bingin e Dreamland sono solo alcune tra le tante. Quella che, però, ci rapisce maggiormente è Jimbaran. Assistere al tramonto lì ti mozza il fiato. Seduti ad un tavolo di Made Bagus, direttamente sulla sabbia a pochi passi dall’acqua, ci gustiamo un’ottima grigliata di pesce ammirando il sole rosso fuoco che lentamente scompare all’orizzonte.
Un’alternativa per ammirare un tramonto da urlo è il tempio di Uluwatu. Il luogo è straordinario e questo tempio – a picco su un’altissima scogliera – dona un non so che di magico al tutto. L’unica macchia (o plus per alcuni) sono i macachi che girano indisturbati tra i percorsi del tempio. Fortuna che a venir derubata del telefono è una turista spagnola e non io, se no avrei potuto realizzare il sequel di “Io uccido”.
*nella penisola di Bukit siamo rimasti per tre notti, dormendo al Warm Sun - Bingin e spendendo 39,50 €/persona a notte.

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