La Norvegia credo rientri nell’immaginario collettivo come una destinazione irrinunciabile, in particolar modo per coloro che amano il mondo dello sci.
Al di sopra del circolo polare artico, nelle vicinanze (relative) di Tromsø, le zone del Lyngenfjord e di Senja si prestano totalmente ad un’esperienza indimenticabile di sci alpinismo. Quest’area è disseminata di cime, più o meno sfidanti, che dominano i sottostanti fiordi. Mettere le pelli a bordo fiordo e sciare vista mare è qualcosa che difficilmente si può dimenticare.
Il periodo ideale per lo sci alpinismo nelle Lyngen Alps è la primavera, quando le ore di buio si contano nemmeno su una mano, ma più sulle falangi del proprio pollice, ed il meteo è più favorevole.
Fondamentale però, è affidarsi ad una guida alpina esperta. Noi abbiamo deciso di eleggere come riferimento assoluto Mario Vannuccini, e mai scelta si è rivelata più azzeccata. “Il catif”, come gli piace essere soprannominato, è un uomo di un’altra epoca; una persona semplice, piacevole, di valori autentici e genuini. Mario conosce la Norvegia come le sue tasche ed è in grado di valutare concretamente pro e contro delle situazioni che si possono presentare, senza troppi fronzoli.
È stato, per il nostro gruppo di merenderos, il riferimento ideale sia per le varie uscite sci alpinistiche, che per i momenti di relax, riempiti dalle sue indimenticabili “piccole storie da guida alpina”.
La pianifica del viaggio è stata totalmente strutturata da Mario e dall’agenzia che lo segue.
Di seguito trovate una veloce mappa della zona, con le basi da noi usate e le cime felicemente sciate.
Vi lascio ora, come di consueto, alla lettura delle nostre solite (dis)avventure!
GIORNO 1 
SLETTFJELLET

Il primo giorno in Norvegia non inizia come ci si aspettava. Una pioggerella fine ma insistente continua a cadere imperterrita e ci costringe a rallentare i ritmi di questa vacanza, per ora – tra l’altro – ancora fermi. L’unico piano è ingannare il tempo, sperando che la perturbazione passi prima del previsto. Passeggiamo, così, intorno alla nostra casetta a bordo fiordo, che regala scorci ancora più scenografici di quelli intravisti dai finestrini di Scandinavian Airlines.
Dopo quindici minuti scarsi, chiunque ha già esaurito la pazienza. Bello il panorama eh, ma non siamo mica venuti qua a cincischiare. 
Le alternative che ci si presentano sono due. 1) Gita a Tromsø al museo polare; oppure 2) breve pellata sotto la pioggia. Nessuno valuta la prima opzione. Lo comunichiamo a Mario, la nostra guida, e la sua reazione è proprio quella di chi pensava al museo polare. Come direbbe lui, “paccesco”.
Ci cambiamo rapidamente e saltiamo in auto. Due minuti di guida e si arriva al granaio rosso di Selnes, che dà il via alla nostra prima uscita norvegese. Lo sviluppo è piacevole e il passo è cadenzato, regolare. La cima dello Slettfjellet pare non giungere mai, ma dopo non molto il vento ci mostra la direzione e – anzi – ci accompagna proprio a suon di folate non indifferenti. Al cambio pelli, siamo tutti consapevoli della neve collosa che troveremo lungo la discesa, ma per oggi va bene così. Si danno due colpi di sciolina e poi via, dritti verso il mare. La neve è davvero colla, il bosco è fitto e la sciata seriamente difficoltosa… ma la vista che ci si presenta davanti agli occhi ripaga tutto.​​​​​​​
Recuperate le auto, facciamo ritorno a Laksvatn, alla Stornes Gård Guesthouse, e il pomeriggio si esaurisce tra controlli di macchine fotografiche, GoPro e infiniti tornei di carte.
Domani ci aspetta la prima vera uscita di quest’esperienza norvegese, e fortunatamente la cima non è quella che Mario, in un primo momento, individua dalla finestra del salotto. Che qualcuno guardi giù!
GIORNO 2
BLÅTINDEN

La notte passa rapida, tra un veloce controllo dell’aurora boreale (non pervenuta) e delle brevissime ore di buio, a cui inevitabilmente dovremo fare l’abitudine.
Terminati i vari preparativi, saltiamo sulle nostre Volvo ed in trenta minuti scarsi raggiungiamo la base del Blåtinden, una cima di 1.180 metri che domina il Lyngenfjord.​​​​
La partenza è ripida e decisa, e percorre una linea tagliafuoco che evita di inoltrarsi in un bosco di betulle indiscutibilmente fitto.
I primi 300 metri di dislivello positivo se ne vanno in un attimo e mi fanno prendere in considerazione l’idea che i 1.100 metri di oggi – a questo ritmo – saranno una gran cazzata. Come nelle migliori fiabe (e come in quelle più scontate) la prendo decisamente sottogamba. Non faccio tempo a rilassarmi che un chilometrico taglione ghiacciato verso sinistra si presenta davanti ai nostri occhi, e mi fa tornare in malo modo sul pianeta Terra. L’infame traverso, lentamente, ci conduce ad una lunga e ripida conca, con una pendenza media del 35%. L’unico mio pensiero positivo in questa critica situazione è mio papà, che in un simile frangente avrebbe comunque trovato il tempo di impartirmi una lezione sulla nota conca morenica di Ivrea.
Le inversioni sono mortali. La visibilità nulla. Arranco come un carlino al polo nord. Il fatto di non essere l’ultimo della cordata (grazie all’intercessione di Ariannona) è l’unica variabile che mi conforta.
Terminata la conca, provo estremo piacere a sentire che l’unica difficoltà che si presenterà entro la successiva mezzora è quella di non far crollare una cornice di circa 300 metri che si trova alla nostra destra. Va bene così. Almeno non sono inversioni sul ripido e nella nebbia.
Arriviamo in due ore e trenta minuti al riparo in vetta, che i norvegesi chiamano “The Sleeping Soldier”. Aspettiamo il bel tempo al riparo della grotta ed iniziamo la discesa con uno spiraglio di sole. La vista che si presenta davanti ai nostri occhi ci mozza il fiato, e fortunatamente ci fa dare meno importanza alla crosta che stiamo sciando.​​​​​​​
La linea di discesa segue una leggera deviazione rispetto a quella di salita; all’imbocco della conca teniamo la sinistra e sciamo inizialmente pendii più dolci, per poi terminare su un muro decisamente ripido che ci riporta alla via tagliafuoco percorsa all’inizio dell’uscita.
Il resto della giornata segue il lento vivere di questa fantastica regione norvegese, e ci fa recuperare energie per le prossime uscite.
GIORNO 3
SJUFJELLET

Questa mattina l’unica vera missione è riuscire ad incastrare bagagli, sci e scarponi nelle Volvo, senza che i bagagliai di quest’ultime esplodano. Una volta completato il difficile tetris, partiamo in direzione Sjufjellet, una cima di 1.086 metri ad un’ora d’auto dal Lyngenfjord e a due ore circa da Senja.
Il viaggio è piacevole e le nostre auto sfrecciano nella tundra norvegese. Due loschi figuri rapiscono la nostra attenzione sul lato opposto della valle. Cerchiamo tutti e tre di capire cosa possano essere (per la cronaca: io, Isi e Mario). Ponderiamo le nostre scelte con attenzione ed – escluso il daù per motivi storico/logici – non ci resta che eleggere come scelta finale due volatili di medie dimensioni.
Arriviamo alla partenza dell’escursione particolarmente fieri della nostra valutazione, ma il destino decide di farci scontrare con Ariannona, Birzebugga e la loro nota diplomazia. I due loschi figuri, dunque, sono due linci, e il fatto che abbiano letteralmente “corso” su una roccia praticamente verticale per qualche secondo, non è sufficiente a far cambiare loro idea.
Partiamo, così, per la nostra cima di giornata e, superato un rado bosco di betulle, finalmente incontriamo una neve che si può definire tale. Non crediamo ai nostri occhi, anche perché quest’ultimi non percepiscono molto di ciò che ci circonda.
Continuiamo a salire con passo constante ed in poco meno di due ore, senza grosse difficoltà, ci ritroviamo in cima, pronti a sciare per la prima volta una neve che pare decisamente invitante.​​​​​​​
La via di discesa segue tendenzialmente quella di salita ed in una ventina di minuti ci ritroviamo alle auto, pronti a sgommare verso Grasmyr, dove ci attende una calda jacuzzi ed una pasta con le polpette made in Norway.
GIORNO 4
KEIPEN

Ci troviamo nell’isola di Senja, al di sopra del circolo polare artico. Sulla costa, parecchie miglia davanti a noi, si trovano – solitarie e fredde – Groenlandia e Svalbard… e io sto dormendo senza il piumino. E sudo pure. C’è qualcosa che non va… e potrebbe essere il consiglio relativo al mettere i ramponi nello zaino, datoci da Mario ieri sera.​​​​​​​
L’appuntamento, per partire in direzione della nostra cima, è alle ore 9.00. Alle 8.25 siamo già tutti pronti come un esercito di svizzeri. Qui, mi sa che non sono l’unico un po’ teso.
Il viaggio in macchina, però, mi tranquillizza; le cime di Senja, viste dal finestrino, non incutono timore… e anche le renne che si incontrano per strada sembrano godere della nostra stessa calma.
Sfortunatamente però, Mario prende repentinamente una svolta a sinistra e la solfa cambia. Davanti a noi, lungo la strada, si staglia un dente piuttosto aguzzo, che porta il nome di Keipen e che coi suoi 938 metri sarà l’obiettivo dell’uscita odierna.
La partenza è piacevole. Le betulle, come di consueto, ci accompagnano lungo i primi metri di dislivello. Il sole splende alto nel cielo e illumina, con chiarezza, l’ampio anfiteatro di neve che precede la cima. Io mi domando… con tutte le perturbazioni che sono passate, proprio oggi dovevo vedere di che morte morire?
Le prime inversioni, fortunatamente, passano tranquille. Siamo la seconda cordata che affronta la salita e la traccia offre ancora dell’ottimo grip. Prima di affrontare il muro che ci porterà sul “piattone” (termine tecnico da guida alpina) che conduce alla cima, Mario consiglia ai boomer del gruppo di montare i rampant. La Pina, inequivocabilmente, sbianca. Davanti agli occhi le passa tutta la vita, con gioie e dolori… ma a valutare dall’espressione, in questo momento, sono più i secondi.​​​​​​​
Affronto questa sezione rigido quanto una renna ubriaca, con la labirintite e sul ghiaccio. Scavallata la dorsale, che in teoria ci avrebbe dovuto condurre su un “piattone”, non vediamo altro che ghiaccio e vento. Mario capisce che, per levarsi dagli occhi la scena della renna con la labirintite, non può far altro che suggerirci di infilare i ramponi e di procedere dritti per dritti verso la cima.
Gli ultimi 50 metri di dislivello sono mortali (perché lo zaino, ora compreso anche di sci, peserà circa centocinquanta chili) ma liberatori. L’arrivo in cima, ci mozza il fiato.
Il cambio assetto, poi, ci regala una discesa davvero indimenticabile. Il primo tratto (fino alla dorsale) è ghiacciato e ventato, ma dopo quel passaggio ci aspetta solo polvere!
Finita la discesa, ci dirigiamo a Husøy: un villaggio che sorge su una piccola isola poco distante dal Keipen e che ospita poco più di 200 abitanti, tutti per lo più pescatori. Osservare i merluzzi essiccare e passeggiare per le strette viuzze di Husøy ci permette di assaporare il lento vivere norvegese (e di comprare il salmone più conveniente della nostra vita).
GIORNO 5
KVÆNAN

Nonostante la sveglia delle 3:00 non sia così pesante come temevo, l’aurora continua a non mostrarsi ai nostri occhi, ma, anzi, si rintana dietro a vasti nuvoloni grigi che coprono le prime luci del giorno – che per altro non sono poi così distanti dagli ultimi bagliori della sera.
Alle 8.25, scattanti come dei salmoni norvegesi, saltiamo in macchina e ci dirigiamo verso il Kvænan, un ampio panettone di 963 metri a picco su un fiordo. Siamo il primo gruppo a partire. Per fortuna direi, dato che i primi trenta minuti sono un costante passaggio tra ghiaccio, piante e muschio, il tutto accompagnato da un imperterrito vento freddo che ci investe senza pietà.
Superata la prima parte all’ombra, sgusciamo in una lunga valle di neve fresca scaldata dal sole di aprile. La vista è mozzafiato. Talmente tanto sbalorditiva che poco prima di una cornice, Mario fa un’inversione a destra e lì ci lascia. Nessuno si muove, aspettando un suo segnale. Questo non tarda ad arrivare, forte e deciso: “Ma chi c***o vi ha detto di restare lì fermi!?”. Proseguiamo mesti mesti e, dopo due traversi ghiacciati, arriviamo sotto la cima. Mario, saggio come uno stoccafisso (si dice così in Norvegia), ci consiglia di evitare le inversioni su questo ripido pendio e di salire a piedi. Arrivati in vetta, la vista è impressionante. Davanti a noi si presentano a perdita d’occhio i fiordi delle Lofoten e di Vesterålen. Mai avrei pensato di festeggiare i miei 32 anni in un luogo simile.​​​​​​​
Calzati gli sci (con un po’ di difficoltà dato lo spazio ridotto) si comincia a scendere e il mix tra panorama, neve e compagnia è il più bel regalo di compleanno che potessi chiedere.
Arrivati alle auto, decido che il modo migliore per coronare questo compleanno è decisamente un bel bagno artico. Non ci penso troppe volte e – rimasto in mutande per non perdere definitivamente gli attributi – mi tuffo. L’acqua è gelida, talmente fredda che non ho nemmeno il tempo di pensare alla minchiata fatta che inizio a perdere sensibilità ai piedi. L’uscita dall’acqua fa invidia a Roberto Bolle in un balletto alla Scala. Sotto i malleoli non ho i piedi, ma due mattoni congelati.
Completata la ritirata, ripieghiamo a Flakstadvåg, un minuscolo villaggio che ci permette di percepire quanto sono remoti i luoghi che stiamo sciando. Bugga affronta questa pausa pranzo in riva al fiordo con gli stessi strati termici di un’ascesa su un 8.000 dell’Himalaya…  ora inizio a spiegarmi come faceva a stare sotto al piumino durante le nostre notti balinesi.
GIORNO 6
SKARDELVFJELLET

La gita di oggi, nonché ultima di questa avventura norvegese, è una piccola vittoria personale. È uno di quei traguardi che di per sé sono insignificanti, ma che nel computo totale valgono molto: niente ramponi e una gita bella tranquilla! Talmente tranquilla che quasi certamente ri-pelleremo… ma va bene così! Già il fatto che non si deve ramponare nessuna cima è sufficiente a rendermi felice.
La partenza è dolce. Lo sviluppo lieve. Inizio ad insospettirmi: qualcosa dovrà pur andare storto. Qualche bella inversione e un pendio ripido si candidano subito come “beghe delle giornata”, ma sono niente al cospetto del vento gelido che ci colpisce sulla cima dello Skardelvfjellet, che beffardo si staglia al lato del tanto amato e odiato Keipen. Indubbiamente, il vento artico che soffia imperterrito, ci gela il cervello e ci inibisce le funzioni vitali basilari. Tutti optiamo per la discesa dall’altro versante della montagna, con annessa ripellata.
Sono consapevole che stiamo peccando di superbia. Avremmo dovuto palesemente accontentarci. E invece no! Infatti, da questo versante ci aspettano (nell’ordine): due curve piacevoli, ottantasei ghiacciate, vento freddo al cambio pelli e innumerevoli inversioni sul ripido durante la risalita. Le inversioni sono talmente complicate che anche la mia dolce metà (fiore all’occhiello della cordata dei merenderos) si trasforma di punto in bianco in una ballerina di danza classica con la sindrome di tourette.
Fortunatamente, giunge anche la seconda discesa e – per la legge del contrappasso – la neve è una favola. Tra qualche follow con la GoPro, qualche curva goduta e un “evita la betulla”, in un attimo siamo alla macchina, pronti a salutare con un caldo arrivederci la Norvegia, ma non prima di aver assaporato un buon piatto di spaghetti “A la Capri”. E qui, un valido scrittore deve sapere che le parole non sono né degne né tantomeno sufficienti per rendere, nero su bianco, una tale emozione. Per chi volesse, qui potete trovare tale prelibatezza.

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